“La forma fragile del silenzio” di Fabio Ivan Pigola

“Perdere uno dei cinque sensi è imparare a conoscere le cose attraverso una lente d’ingrandimento: il vuoto amplifica”.

La Natura a volte è strana, fa i capricci senza esigere nulla in cambio, se non una riflessione sparsa e qualche angoscia a perdita d’occhio, da instillare in un genere – quello umano – già angosciato e angosciante di suo. Forse è per questo che Hombre è così calmo, che si avvia alla sordità prendendo coscienza dell’handicap senza lamentosi miagolii di contrizione; forse è per questo che tutto sembra così equilibrato e pacifico – almeno all’apparenza – nel primo struggente romanzo di Fabio Ivan Pigola, La forma fragile del silenzio (Edizioni della Sera, 2016, pp. 155).

forma fragile del silenzio ivan pigola

Sedici anni e una grande passione per la musica, per quel leggendario brano blues che Hombre forse non sarà più in grado di ripetere: l’udito si spegne giorno dopo giorno, l’avviamento verso la strada dell’handicap è già a buon punto, la beffa del destino non si è fatta attendere ed ha bussato troppo presto alla porta del protagonista di questo romanzo.

Non c’è trama che tenga, perché La forma fragile del silenzio è essenza di se stesso: ogni singolo personaggio – dal giovane protagonista allo zio Baldo, alla mamma, al papà, a Sugar, Barbie, Boselli Maurizio, Marco del Fireball, … – ruota come un satellite intorno a tutti gli altri, ha una sua precisa identità, ma per esistere ha bisogno delle storie dei pianeti vicini, gli amici di sempre. Perché questa non è solo la storia di Hombre, che in piena adolescenza si trova a constatare la perdita di uno dei sensi più importanti per lui, che ama la musica come fosse una madre (àncora di salvezza, rifugio e ragione), ma è anche una storia d’amicizia e fedeltà.

Hombre compie un cammino dolcemente faticoso, che porta al silenzio; sta per perdere l’udito, ma resta sempre in ascolto quando è il cuore a chiamare. Sordo al mondo esterno – e nel mondo esterno – questo sedicenne alto e magro, esile e guizzante, un fuscello che scivola fra le dita crudeli della gente, si aggrappa in ogni modo alla vita di tutti i giorni, fatta di suoni, colori, odori e sapori.

Dove non arriva l’udito arriva la vista, dove l’orecchio non basta più corrono in soccorso le dita che pizzicano le corde della sua chitarra. L’handicap non è aggravante e privazione, ma possibilità di diventare qualcun altro senza perdere la propria ingenuità, dono di ogni bocciolo nascente.

“I tasti, le corde sono come l’inchiostro dei libri, ciò che permettere di leggere le idee”.

Il punto di forza de La forma fragile del silenzio è il mondo che contiene, al di là di chi abita il romanzo, al di là degli episodi narrati. E il mondo che si insinua tra le pagine di questo romanzo, che si acquatta negli spazi bianchi tra una riga e l’altra ed esplode, con garbo, in una tavolozza di nuove opportunità, è il mondo di Fabio Ivan Pigola.

fabio iban pigola foto

Fabio Ivan è una “forma fragile” che non si spezza mai, che si muove nel “silenzio” schivando i colpi della miseria umana, eppure le sue idee fanno un baccano spaventoso. Una radiolina sempre accesa che freme e vibra al contatto con qualsiasi forma di bellezza.

Hombre è l’ombra di Pigola, l’ombra che “odora di niente” e che raccoglie l’universo dentro di sé: le note sono universo, le pagine dei libri sono universo, i sorrisi degli amici sono universo, il bene dato e mai preteso è universo.

Il percorso intrapreso è senza ritorno, l’handicap non risparmia e non si commuove di fronte alla preoccupazioni di amici e parenti, ma la musica e l’empatia salvano protagonista ed autore. L’Arte è l’orecchio che non smetterà mai di udire, l’occhio che non smetterà mai di guardare, la bocca che non sarà mai sazia di parole da dire, da gridare, da sussurrare. È la Bellezza a proteggere l’Uomo dalla cattiveria degli essere umani e le note del blues continueranno a suonare anche quando non potremo più ascoltarle.

Hombre ha intuito qual è la chiave di volta dell’esistenza: mette in moto il “corpo interiore” per continuare a vivere senza intoppi, diventando esso stesso una nota blues nel cinico assordante silenzio generale.

La forma fragile del silenzio scalpita sotto i colpi della penna di Fabio Ivan, che si intrufola in ogni singola parola e diventa pensiero (e ovviamente azione, ma già il pensiero contiene una potenziale azione di ribellione, che non è mai rivolta inutile). Ecco, il pensiero, anzi, i pensieri: tutto il romanzo è costruito come uno zibaldone, a cui la logica del racconto classico è obbligata a piegarsi. Schegge di emozioni si lasciano trascinare dallo sciabordio dei sentimenti, come un mare calmo e piatto, dove tutto tace ma brilla in modo tenace e instancabile.

La scrittura di Fabio Ivan Pigola è poesia divenuta prosa: non c’è spigolosità, nessun intoppo, nessuna incertezza, eppure il lettore è quasi costretto a fermarsi per osservarne la perfezione. Di questo libro si è portati a voler bene ad ogni virgola, che scivola leggera e rimane impressa, che sembra trasportata dal vento ma si impiglia negli sbuffi di nuvole a metà cielo.

È come leggere un verso di Auden e avere Miles Davis in sottofondo, è come uscire di casa al tramonto, cuffie all’orecchio, attraversare il viale alberato col sole in faccia e lasciarsi cullare da un avvolgente My funny Valentine.

La delicatezza, l’attenzione al dettaglio senza indugiare nella ricerca artificiosa della forma perfetta, un’evoluzione che è ricerca muta e disperata di autenticità. La musicalità di un testo è ciò che ne scandisce il ritmo e, come tutte le cose belle, va gustato con lentezza, per assaporarlo e adagiarsi nella sua solitudine, che è quella di ognuno di noi.

Lascia un commento